Appurato che i sensi siano cinque e che ci sono altre variabili a mettersi in mezzo che implicano le nostre scelte e le nostre percezioni, la vista è il senso che si mette in prima linea. Osserva, giudica, sceglie, e molto spesso non è da sola. Considerando i casi in cui non è preceduta dall’olfatto, così come dagli altri sensi, come se vedessimo un piatto da lontano, quali fattori potrebbero influenzarci?
La vista può creare aspettative, attese, che si intrecciano con ricordi ed episodi che già conosciamo, iniziamo a fare associazioni, ma tutto dipende dal contesto in cui ci troviamo. Abbiamo fame? Siamo sazi? Siamo curiosi? Abbiamo già provato quel piatto e lo desideriamo nuovamente? A cosa ci fa pensare? Quali altri quesiti ti vengono in mente?
Senso di tipo fisico, la vista, ci permette di percepire il visibile grazie alla luce entro certe lunghezze d’onda, quelle dello spettro del visibile appunto, tra 400 e 760 nanometri. In questo spettro troviamo i colori che conosciamo, dei quali quello che vediamo di una determinata immagine davanti ai nostri occhi è l’energia riflessa a una determinata lunghezza d’onda.
Oltrepassando la fisiologia, così come la fisica, qual è il ruolo che attribuiamo a questo senso quando siamo di fronte al cibo?
Vista e olfatto di solito si contendono la prima percezione, a chi arriva prima cosa, quando vediamo qualcosa da mangiare. Possiamo avere la casa invasa da profumi, ancorando un’etichetta semantica a ciò che stiamo sentendo. Cosa ti viene in mente? A me il profumo del caffè, non lo vedo, eppure la mattina so che si tratta di lui quando sento il profumo nell’aria, e tra i sensi l’olfatto è quello che arriva prima in questo caso.
Diverso è quando vediamo dei biscotti da lontano, vediamo dei prodotti dietro una vetrina (si è vero, spesso anche l’olfatto si mette in mezzo), ma anche quando siamo di fronte a una foto di una pizza, con la mozzarella sciolta e filante, magari di uno spicchio messo in particolare risalto, il basilico fresco, il pomodoro rosso in una delle sue sfumature, il cornicione ben cotto, oppure la pubblicità in tv del nostro cibo preferito. Vediamo ma non possiamo sentire i profumi e pure nel nostro cervello si innescano ugualmente delle sensazioni.
Tali sensazioni possono essere sia positive che negative, ed è lì che molto spesso ci facciamo trasportare dallo scegliere o meno qualcosa.
Noi italiani, fieri di esserlo per il cibo italiano, sappiamo bene che i ristoranti con le foto sono un’esca per i turisti, eppure quando noi siamo all’estero, le foto dei piatti sul menù, a volte e dipende dove ci troviamo, ci aiutano a comprendere meglio ciò che stiamo per scegliere, a meno che non ci cimentiamo a fare una ricerca piatto per piatto. Per esempio in Turchia molti locali hanno le foto sul menù.
Ciò che succede è che al primo impatto, a prima vista, un piatto o un ingrediente devono ispirarci fiducia. Certo poi la fiducia deve anche essere corrisposta nel luogo in cui ci troviamo, per non avere soprese quando sul piatto arriva tutt’altro di quello che c’era in foto. Ingredienti mancanti e sostituiti sono alcuni esempi.
Facciamo che ci fidiamo del personale e soprattutto del cuoco e della sua brigata e di ciò che abbiamo visto, perché a volte, oltre alle foto su Google, prima ancora delle recensioni, ci affidiamo ai piatti che escono dalla cucina quando stiamo per entrare in un ristorante che non conosciamo.
Conoscenza o meno, il cibo, già alla vista può suscitarci emozioni, sia positive che negative. Ci può ricordare di qualcosa assaggiata in un momento felice, oppure crearci disgusto già a primo impatto e una serie di emozioni soggettive dettate da diversi fattori.
Per la vita di tutti i giorni
Un compito non meno importante è che la vista ci permette di valutare la freschezza e qualità degli alimenti in quel preciso istante. Siamo in grado, grazie alla vista ma anche alla conoscenza e alla consapevolezza, che un frutto può essere mangiato o meno, che un ortaggio ha un colore, che può cambiare una volta tagliato, per un determinato motivo.
Conoscendo i livelli ottimali di “salute” di un prodotto possiamo essere in grado di distinguere quelli minori e quelli peggiori in termini di shelf-life o di cottura per esempio e in questi casi la vista, così come gli altri sensi giocano un ruolo importante.
Una patata cruda per esempio ha un colore giallo pastello, è leggermente succosa al taglio per via dei liquidi interni. Man mano viene cotta, fritta o al forno, per esempio, inizia ad assumere sfumature diverse sempre più scure, arriva al suo stadio dorato, se cotta con olio, ma può anche arrivare al suo stato scuro, bruno, bruciato. Naturalmente e consapevolmente non vuol dire che deve arrivarci, anzi, non deve.
Lo stesso accade per una fetta di pane al naturale che vogliamo tostare. Siamo così contenti di farci delle bruschette o di preparare un toast con la mozzarella filante all’interno, ma cosa succede se ce lo dimentichiamo sul fuoco? Per la vista diventa nero, si brucia, e in questi casi è meglio buttare tutto che rimediare.

Un altro esempio ricade sui livelli di cottura della carne, questa volta non bruciamo niente, ma sappiamo che a un determinato colore corrisponde una determinata cottura, dalla blue alla ben cotta, dalla praticamente cruda e color rosso scuro ad una sfumatura rosea, quasi grigia. Altri fattori cambiano, come per esempio la consistenza, che possiamo percepire con un dito, ma più che vista qui entra in gioco il senso del tatto e per questo ci vuole un altro spazio di approfondimento.
Lo stesso accade anche per i prodotti con la muffa che si viene a creare dopo che il prodotto è nato, finito e arriva nelle nostre tavole. Diverse sono le muffe pro-tecnologiche, che hanno un ruolo ben preciso e sono state inserite nei prodotti per dar vita al loro stadio finale che poi consumeremo.
Dunque differente è la muffa sugli agrumi rispetto a quella sul gorgonzola. Siamo tutti d’accordo?
Penicillium digitatum vs peniciullium roqueforti.


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Anche quando una lattuga o un frutto si trasformano, si disidratano, si ossidano o il pane subisce la retrodegradazione dell’amido, è sempre compito della vista metterci in allerta o meno e indicarci cosa è giusto fare. A volte corre in aiuto mettendo parola sugli alimenti che buttiamo e che potremmo evitare di sprecare solo perché sono leggermente rovinati.
Molti sono gli esempi da fare, una è la protagonista che ci avverte, a volte prima a volte dopo l’olfatto.
Diverso è quando, oltre la natura, entra in gioco il colore degli alimenti, o ancora quando cambiano forme e colori degli utensili di servizio, dell’ambiente che ci circonda o ancora dell’impiattamento. Si, gli stessi elementi impiattati in maniere diverse generano percezioni diverse, solo che spesso non ce ne accorgiamo perché difficilmente mettiamo a confronto due prodotti uguali serviti in modi diversi, nella vita di tutti i giorni.
Lo stesso accade anche per motivi culturali, quando per esempio ci rifiutiamo di mangiare dei prodotti che per la nostra cultura non abbiamo mai consumato o che magari non conosciamo e che in altri posti del mondo mangiano da sempre. Il primo caso ha un nome e si chiama “neofobia”. Sei neofobico verso qualcosa un piatto o un ingrediente? Pensaci!
In ogni caso le nostre esperienze passate influenzano i nostri sensi, soprattutto vista, olfatto e sistema somestesico, nel momento presente, nella degustazione presente, ma il fatto stesso di osservare, ancor prima di annusare e consumare ci porta nel momento attuale, aumentando di un po’ la nostra consapevolezza, perché la vista non ha lo stesso ruolo di quando si considera insieme a tutti gli altri sensi.
Se hai riflessioni sul modo in cui mangi e come scegli i prodotti grazie alla vista, contattaci e raccontaci della tua esperienza.
É un mondo pieno di sfaccettature bellissime!
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